Monsignor
Fisichella, dato per futuro “ministro” della
rievangelizzazione dell’Occidente, spiega perché
la Chiesa ha un ruolo centrale nella ricomposizione delle
mille crisi del continente. E annuncia grandi novità
nei rapporti con Ankara
«Anch’io l’ho letto sui giornali. Ne
so quanto lei». Monsignor Rino Fisichella stoppa
con modi urbani il cronista in cerca di autorevole e clamorosa
conferma alla notizia secondo cui un Pontificio consiglio
per la nuova evangelizzazione, cui verrebbe affidato il
compito niente meno che di ricristianizzarel’Europa,
sarebbe alle viste. Le voci dicono pure che l’attuale
presidente della Pontificia Accademia per la vita verrebbe
posto a capo del nuovo dicastero. Comunque stiano le cose,
approfondire il punto di vista del prelato che è
anche il cappellano della Camera dei deputati sulle crisi
che stanno investendo l’Europa è fortemente
istruttivo. E riserva alcune sorprese.
Eccellenza, alla crisi morale dell’Europa
di questi anni (alti tassi di aborto e divorzio, figli
nati fuori dal matrimonio, crescita delle tossicodipendenze)
si sono aggiunte negli ultimi tempi crisi economico-finanziarie
(i problemi di Grecia, Portogallo, Spagna) e ora anche
istituzionali(l’impasse di governo nel Regno Unito
e in Belgio, la debole leadership tedesca di fronte alla
crisi finanziaria greca). C’è un nesso fra
queste difficoltà e l’egemonia della cultura
illuminista radicale che sembra impregnare di sé
la vita degli Stati e le politiche dell’Unione Europea,denunciata
a più riprese dal Papa e dalla Chiesa?
Nel discorso di Subiaco l’allora cardinal Ratzinger
pose una questione a cui non venne data risposta:la cultura
illuministica e razionalista che l’Occidente ha
assunto con la modernità e che l’Unione Europea
ha fatto sua, dispone realmente di premesse e contenuti
adeguati per porsi come piattaforma universale? La risposta
che non è stata data in termini di analisi culturale
oggi arriva dai fatti. Notiamo una profonda crisi determinata
da una grande frammentazione, che porta i vari paesi a
rinchiudersi in se stessi e a rinunciare alla tensione
all’unità, verso la quale i popoli non mostrano
più entusiasmo.L’Unione Europea è
in crisi d’identità perché non riesce
a esprimere un progetto unitario che guardi al futuro
con un’idealità coerente, e l’allargamento
a nuovi paesi aderenti non ha fatto che aggravare il problema.
La crisi finanziaria, allora, non è soltanto la
conseguenza della crisi globale che ci investe,ma è
anche il prodotto della debolezza dell’Unione Europea,
che non solo non ha un progetto unitario,ma è partita
con il piede sbagliato pensando che si potesse creare
un’unità partendo dalla moneta. La dinamica
di integrazione europea appare come l’opposto di
quella americana. Gli Stati Uniti prima hanno ricercato
un’identità, e poi hanno creato l’unità
finanziaria con una valuta unica. L’Europa,invece,
è partita con una moneta unica pensando poi di
produrre un’unità culturale. Tuttavia, di
fronte alla crisi non dobbiamo demoralizzarci. Dobbiamo
vedere in essa una grande opportunità.L’opportunità
per far emergere un progetto che abbia successo nel futuro.
Benedetto XVI ha detto più volte che l’Europa
ha bisogno di una laicità positiva e non di quella
negativa, fino ad oggi dominante. Lei intravede in qualche
paese, in qualche forza politica o in qualche livello
politico dell’Unione Europea un accenno, un inizio
di laicità positiva?
Due anni fa al Collège des Bernardins di Parigi
il Papa ha fatto un discorso di alto spessore culturale
su questo tema, e ha trovato un interlocutore nel presidente
francese Nicolas Sarkozy. Il quale è andato oltre,
mettendo a tema l’apporto delle religioni e in modo
particolare quello del cristianesimo alla fondazione dell’Europa.
Bisogna poi sottolineare che oggi l’Unione Europea
include anche l’Europa dell’Est, dove troviamo
grandi nazioni che vivono una profonda tradizione religiosa.
Pensiamo ad esempio alla Polonia, alla Romania, a paesi
che stanno per entrare come la Croazia. Poi bisogna dire
che non sempre gli eletti nei differenti parlamenti sembrano
interpretare veramente l’identità e il sentire
del popolo. Io sono convinto che l’identità
europea e il sentire del popolo in molte nazioni sono
ancora profondamente cristiani.
L’Italia, almeno fino alle recenti fibrillazioni
all’interno della principale forza politica, ha
dato un’impressione di solidità economica
e istituzionale inusitata, a fronte di altri paesi europei.
Che contributo potrebbe dare in questo momento?
Da parte italiana già vedo un apporto molto positivo
che viene dato. Penso alla posizione sulla solidarietà
con la Grecia nel contesto della crisi finanziaria. Vedo
una lucida assunzione di responsabilità nei confronti
degli altri paesi e soprattutto della costruzione europea.
Io posso vedere questo con grande favore, perché
significa che l’Italia mantiene ancora la sua forte
idealità, in sintonia coi padri fondatori dell’Unione
Europea, che erano cattolici: Robert Schuman, Alcide De
Gasperi,Konrad Adenauer. L’Italia è un paese
certamente geloso della laicità delle proprie istituzioni,
ma contemporaneamente è fiero delle proprie radici
e identità cristiane. In questo frangente, si sta
dimostrando capace di proporre un equilibrio fra solidarietà
e responsabilità, e questo accade proprio mentre
emergono ragionamenti strumentali all’interno di
altri paesi europei.
In Europa sono apparsi, in questi ultimi anni,
partiti populisti che, pur non collegandosi esplicitamente
alla dottrina sociale della Chiesa cattolica, rivendicano
la difesa della tradizione giudaico-cristiana europea.
Penso alla Lega Nord in Italia, al Partito per la Libertà
di Geert Wilders in Olanda. Come valuta questo fenomeno?
Molti lo temono come una strumentalizzazione della fede
cristiana per politiche xenofobe.
Nell’attuale frangente la Chiesa è più
che mai gelosa della propria identità, ma è
anche molto attenta a non lasciarsi strumentalizzare.
Appartiene all’identità propria della Chiesa
cattolica il richiamo alla laicità e alla distinzione
fra ciò che è di Cesare e ciò che
è di Dio. Quindi da questo punto di vista non è
pensabile che ci sia una dimensione strumentale della
fede o dei valori cristiani, che sarebbe grandemente negativa;
mentre credo che sia giusta la rivendicazione della conservazione
dei propri valori e del proprio patrimonio culturale,
e quindi il mantenimento di una propria identità.
Vorrei aggiungere inoltre che da un punto di vista non
politico, ma culturale, la difesa dell’identità
non significa rinchiudersi nel passato, ma implica il
restare aperti alle nuove istanze. La tradizione è
un fenomeno vitale, dinamico, che non altera i contenuti
che appartengono all’identità, ma li sviluppa
costantemente.
Alle porte dell’Europa bussa la Turchia,
un mondo molto diverso da quello che abbiamo conosciuto
nei sessant’anni di integrazione europea. Come dovrebbe
comportarsi l’Unione?
Ho recentemente incontrato l’ambasciatore turco
presso la Santa Sede. Ci siamo ritrovati d’accordo
che è necessaria una collaborazione soprattutto
a livello culturale sui temi etici. Dobbiamo valutare,alla
luce della ragione, e quindi di una visione universale,
in che modo la visione cristiana della vita e quella musulmana
possano trovare elementi comuni – anche di difesa
comune – di fronte alle grandi sfide della bioetica.
In che rapporto sta la nuova evangelizzazione
dell’Europa con l’azione politica di cristiani
e uomini di buona volontà? C’è chi
pensa che è inutile per i cristiani impegnarsi
in battaglie politiche, perché a cambiare i cuori
e quindi poi per ricaduta la società è solo
la testimonianza cristiana di tipo personale.
Come dicevano gli antichi: «Unum facere, et alium
non omittere», bisogna fare una cosa senza dimenticare
l’altra. L’annuncio e la testimonianza sono
importanti, ma sono determinanti anche l’impegno
e la responsabilità diretta che vengono assunti
da chi come cattolico si impegna non solo nella vita pubblica,
ma in tutti i settori della società: cultura, imprenditoria,
sindacato. Il problema di fondo è che si è
voluto escludere Dio dalla vita pubblica, e questo porta
inevitabilmente a verificare le conseguenze della crisi
che noi viviamo. Pertanto occorre riproporre con convinzione
e con forza il valore pubblico del cristianesimo, Dio
deve ritrovare un posto nella sfera pubblica. Perché
l’orizzonte politico, l’orizzonte culturale,
la dimensione economica o sociale, da sole non bastano
a dare una risposta alla domanda fondamentale di senso
che è presente in ogni persona. In ogni uomo europeo
rimane inevitabilmente intatta la questione antropologica,
cioè la questione di dare una risposta alla domanda
di senso della vita umana. E se si esclude a priori Dio,
non si riesce a uscire dal labirinto delle proposte che
vengono fatte. Non dimentichiamo che la storia di duemila
anni ci insegna che il cristianesimo e la Chiesa cattolica
sono stati e rimarranno ancora un elemento di coesione,
di unità e di pacificazione fra i popoli europei.
Questo è un valore fondamentale, l’Europa
non può esimersi dal prenderne coscienza e favorirne
lo sviluppo.
Dunque l’esistenza di politici cristiani
è indispensabile? Oppure se ne può fare
a meno, poiché la Chiesa potrebbe comunque sempre
negoziare coi poteri secolari?
La presenza di politici cristiani non solo è indispensabile
ma è necessaria, perché la Chiesa sa benissimo
quali sono i confini entro i quali è chiamata ad
operare. La Chiesa sa benissimo che la sua missione è
anzitutto quella di annunciare Gesù Cristo. Poi
devono essere i laici, impegnati nella politica e nei
diversi settori della società, a rendere visibile
e concreto tale annuncio. |