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ADIÓS FIDEL
Fede e dissenso nella Cuba dei Castro
di Roberto Cavallo
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“Picchiato
a morte dalla polizia. La denuncia dei dissidenti cubani”.
Così titola il Corriere della Sera di lunedì
9 maggio a pagina 17 a proposito del più recente
episodio di violazione dei diritti umani, che ha avuto
per vittima il dissidente Juan Wilfredo Soto.
Ultimo regime militare totalitario e dinastico del Sudamerica,
guidato da due ottuagenari: questa oggi è Cuba.
Dalla lontana Rivoluzione del 1959, che scalzò
Fulgencio Batista, l’isola ha ormai tre generazioni
di dissidenti: quella dei giovanissimi (tra i 16 e i
35 anni) che sa fare uso delle nuove tecnologie informatiche;
quella dei giovani (36-55 anni) e quella dei veterani
(dai 56 ai 76 anni).
Tale tripartizione è opera di Guillermo Coco
Farinas, psicologo e giornalista di 49 anni, uno dei
più famosi oppositori al regime castrista, che
con il suo sciopero della fame - ad oltranza - ha più
volte rischiato la vita (e tuttora ha gravi problemi
di salute). Nel dicembre del 2010 ha ricevuto il Premio
“Sacharov” dal Parlamento europeo.
Farinas ha curato la prefazione di un recente libro
su Cuba scritto a due mani da Lucia Capuzzi e Nello
Scavo, entrambi giovani giornalisti del quotidiano “Avvenire”:
Adiòs Fidel. Fede e dissenso nella Cuba dei Castro,
(Edizioni Lindau, Torino, 2011, pagg. 190).
Secondo Farinas le tre generazioni di dissidenti hanno
modi diversi di ribellarsi al regime.
I veterani sono in genere sfiduciati per le grandi privazioni
subite: “Da anni affrontano tradimenti, torture
e finte esecuzioni, un metodo molto usato dal governo
in passato. Essi si dedicano soprattutto ad elaborare
documenti di denuncia.” (pag. 5).
I giovani cercano di riappropriarsi della piazza, come
fanno, per esempio, le Damas de Blanco, il famoso gruppo
di mogli, madri, fidanzate dei prigionieri politici
che, sfilando in silenzioso corteo, sfidano le ire della
polizia politica e spesso ne subiscono gli attacchi
e le violenze, specie quando gli squadristi castristi
pateticamente si camuffano da contro-manifestanti…
I giovanissimi, infine, tentano di destabilizzare il
totalitarismo castrista attraverso l’uso intelligente
delle nuove tecnologie, anche se non disdegnano di far
circolare volantini di denuncia per strada… Un
esempio significativo è rappresentato dalla blogger
Yoani Sanchez, oramai famosa in tutto il mondo, che
usa internet con grande audacia per far conoscere, in
tempo reale, le vessazioni commesse dal castrismo.
Ma soprattutto, dice Farinas, giovani e giovanissimi
sarebbero ingrati se non riconoscessero l’impegno,
il sacrificio, le sofferenze dei veterani. “Questi
ultimi, infatti, combattono da mezzo secolo la dittatura
e hanno sopportato pressioni feroci…quando nessuno
era disposto ad ascoltarli. La Patria nuova a cui aspiriamo
deve nascere dall’unione e dal lavoro di tutte
le forze democratiche. Di qualunque età…”
(pag. 6).
Questa precisazione di Farinas è una necessaria
chiave di lettura per affrontare il testo, che, raccogliendo
tutte le principali voci del dissenso, è una
splendida denuncia del volgare trasformismo castrista.
Gli Autori, però, talora sembrano voler prendere
le distanze dall’opposizione storica – soprattutto
quella che da anni trova rifugio in Florida, che non
solo è anti-castrista ma pure lucidamente anti-comunista
–, a favore di quella rappresentata da giovani
e giovanissimi, considerata forse un’opposizione
più pacifica e pragmatica.
Farinas, dunque, nella prefazione rimette le cose a
posto, mentre nel corso dell’intervista rilasciata
a Capuzzi e Scavo, invita a diffidare di Raul Castro,
perché “La repressione e le minacce contro
i dissidenti continuano. Anzi, negli ultimi mesi si
sono fatte ancora più spietate: le aggressioni
contro gli oppositori si sono moltiplicate. I diritti
umani non sono rispettati…” (pag. 164).
Il volume svela lo stato disastroso dell’economia
cubana, cagionato dalle obsolete concezioni marxiste:
“Nelle industrie di Stato ci sono 12.000 guardiani
per impedire agli 8.000 operai di rubare merci e macchinari.
La metà delle terre coltivabili in mano alle
aziende di Stato è improduttiva e il Paese deve
importare l’80 % degli alimenti. “(pag.
22).
Allora “cambiare tutto, perché tutto resti
com’è” sembra il nuovo necessario
leitmotiv di quel che resta dell’attempata classe
dirigente rivoluzionaria. Da Raul Castro in giù
tutti ne sono consapevoli. Gli spiragli di apertura
introdotti finora (possibilità di dormire negli
alberghi riservati ai turisti o di acquistare taluni
elettrodomestici e anche un cellulare o un PC) sono
ben lontani dal toccare i punti dolenti del sistema
cubano: il divieto di uscire dall’isola senza
autorizzazione, la corruzione della burocrazia, il dissesto
finanziario. Oltre all’assenza di libertà
di stampa e di associazione: in una parola, di democrazia
(pag. 29).
Negli ultimi anni Raul è stato costretto - dal
dissesto economico e dagli insuccessi dell’economia
pianificata - a promuovere gli investimenti esteri e
ad incentivare forme approssimative di attività
private. Il documento programmatico di politica economica
e sociale presentato al VI congresso del partito comunista,
tenutosi nello scorso aprile, promuove gli investimenti
esteri, mira ad espandere il settore privato e tende
al pareggio di bilancio. Ma chiarisce anche che tutte
le riforme avverranno nel contesto del sistema socialista:
“…la politica economica della nuova fase
si armonizzerà con il principio che solo il socialismo
è in grado…di conservare le conquiste della
Rivoluzione” (pag. 34).
Da un certo punto di vista, insomma, si vuole seguire
il modello cinese: ferreo controllo politico sulla società
civile coniugato ad una parziale liberalizzazione economica.
Intanto a farne le spese è la popolazione, che
si vede ridotta drasticamente la razione di cibo e di
generi di prima necessità reperibili nei negozi
di Stato attraverso la tessera di razionamento.
Tenendo conto che il salario medio di un cubano (per
chi ha la fortuna di avere un lavoro) è di circa
20 dollari al mese, la tessera (la cosiddetta libreta)
era tutto sommato una garanzia minima per non morire
di fame: “La libreta è il quarantennale
simbolo del paternalismo di Stato” (pag. 34),
destinata prossimamente a scomparire.
Così oggi se non fosse per l’alleanza ideologica
con Hugo Chavez, presidente-dittatore del Venezuela,
che garantisce in nome della Rivoluzione cospicui flussi
di petrolio e di denaro, Cuba sarebbe sull’orlo
del baratro (pag. 30). Chavez ha preso il posto dell’Unione
Sovietica come principale puntello del socialismo tropicale.
Il flusso enorme di dollari per investimenti che da
Caracas giunge a L’Avana spiega i risultati -
per certi versi sorprendenti - relativi all’aumento
del PIL registrati nel triennio 2005-2007. Oltre ad
Hugo Chavez, i fratelli Castro possono contare, soprattutto
in funzione anti-americana, su altri due alleati strategici:
la Bolivia di Evo Morales e il Nicaragua di Daniel Ortega.
Fra i nuovi alleati e sponsor di L’Avana ovviamente
vi è proprio la Cina, che nel settembre 2009,
“…avrebbe concesso a Cuba prestiti per 600
milioni di dollari…Ecco perché, parametri
economici a parte, Cuba continua a sopravvivere a venti
anni dallo sgretolamento dell’Unione Sovietica.”
(pag. 48).
In ogni caso sono le Forze armate rivoluzionarie e socialiste
a controllare, per i due terzi, l’economia cubana,
mentre da sempre la propaganda castrista assegna all’embargo
statunitense, il cosiddetto bloqueo, la responsabilità
dello stato di povertà dell’isola. Contrariamente
a quanto generalmente si pensa - viene ricordato nel
libro - il bloqueo è il risultato di tre leggi
volute dai democratici (e non dai repubblicani!) statunitensi.
Al di là degli aspetti economici del blocco,
comunque facilmente aggirabili dal regime, il bloqueo
resta una formidabile arma di propaganda ideologica
in mano ai fratelli Castro, continuamente ripresa da
giornalisti e intellettuali progressisti di mezzo mondo,
inguaribili nostalgici dei “barbudos” e
della “revolucion”.
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